Con la sentenza n. 14 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, co. 1-bis, c.p.p., sollevata dal G.i.p. del Tribunale ordinario di Macerata, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui tale disposizione prevede che, nei procedimenti per i delitti ivi indicati, l’assunzione della testimonianza in sede di incidente probatorio, richiesta dal pubblico ministero o dalla persona offesa dal reato, debba riguardare la persona minorenne che non sia anche persona offesa dal reato.
Secondo il rimettente, la scelta legislativa di estendere anche al minorenne mero testimone l'assunzione della prova in sede di incidente probatorio e di non prevedere che sia sentito in tale sede soltanto il minorenne che rivesta il ruolo di persona offesa comporterebbe una violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 111 Cost.
La Consulta ha anzitutto esaminato la portata e la ratio della disposizione censurata, oltre che le caratteristiche del sistema normativo in cui essa si inserisce, evidenziando, in particolare, come il fondamento dei presupposti e delle modalità di assunzione della testimonianza del minorenne in sede di incidente probatorio attenga a due ordini di concomitanti finalità.
La prima finalità, di natura extraprocessuale, è quella di tutelare la libertà e la dignità del minorenne rispetto al rischio che l’assunzione della testimonianza esponga quest’ultimo al trauma psicologico associato alla sua esperienza in un contesto giudiziario penale ed è rivolta a preservare il minore dagli effetti negativi che la prestazione dell’ufficio di testimone può produrre in rapporto alla sua peculiare condizione (sent. cost., n. 92 del 2018; v. Incidente probatorio/Testimonianza del minorenne – Corte cost., n. 92 del 2018, in questa Rivista online, Giurisprudenza Costituzionale, 2018). La seconda e concorrente finalità perseguita dall’art. 392, co. 1-bis, c.p.p. – osserva la Corte – è invece di natura endoprocessuale ed è connessa alla circostanza che l’anticipazione della testimonianza alla sede incidentale, tanto più laddove si proceda per reati attinenti alla sfera sessuale, è rivolta anche a garantire la genuinità della formazione della prova.
Il concorso di tali finalità – ha rilevato la Consulta – non fa tuttavia venir meno la natura eccezionale della norma censurata, poiché essa, nel momento in cui consente l’ingresso di contenuti testimoniali in una fase antecedente a quella dibattimentale, sulla base di una presunzione di indifferibilità e di non rinviabilità di essi in ragione della natura dei reati contestati e della condizione di vulnerabilità dei soggetti da audire, introduce una deroga al principio fondamentale di immediatezza della prova (v. § 5, Considerato in diritto).
Con riguardo allo specifico profilo oggetto di censura, la Corte ha ritenuto che l’equiparazione, introdotta dall’art. 392, co. 1-bis, c.p.p., tra il contributo testimoniale del minorenne persona offesa dal reato e quello del minorenne mero testimone non appare priva di giustificazione, poiché la presunzione di un’analoga condizione di vulnerabilità che avvince le due categorie di soggetti è da reputarsi conforme a dati di esperienza generalizzati. Questa circostanza induce il Giudice delle leggi a ritenere che la norma censurata, pur non essendo in parte qua costituzionalmente imposta, risulti tuttavia conforme all'art. 3 Cost. Del resto, come ha precisato la Consulta, la scelta normativa in parola non trascende la sfera di discrezionalità riservata al legislatore, con la conseguenza che essa non può essere ritenuta manifestamente irragionevole.
La questione è stata dichiarata non fondata anche in riferimento al parametro di cui all'art. 111 Cost., parimenti evocato dal giudice rimettente.
Il Giudice delle leggi ha osservato come l’eccezione che la disposizione censurata introduce rispetto al principio di immediatezza della prova e alla sua conseguente formazione in dibattimento risulti compensata dalla circostanza che le modalità di assunzione anticipata della prova testimoniale del minore e, più in generale, del soggetto vulnerabile sono disciplinate dalle norme codicistiche in modo tale da garantire il diritto di difesa dell'indagato, nel rispetto del principio costituzionale del contraddittorio (v. § 5.1, Considerato in diritto).
La Consulta ha ragionato in un'ottica di bilanciamento tra valori contrapposti, rilevando come al giudice spetti un ampio margine di flessibilità nel definire modalità di escussione del testimone minorenne idonee a garantire un adeguato bilanciamento tra l’esigenza di preservare la libertà e la dignità di quest’ultimo e le garanzie difensive dell’indagato.
Le disposizioni di cui agli artt. 398, co. 5-bis, e 498, co. 4 e 4-bis, c.p.p. – richiamate dalla Corte – attribuiscono infatti al giudice procedente un vasto spettro di soluzioni, che vanno dalla possibilità di impiegare un contraddittorio pieno, in particolare ove il giudice ritenga che l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste, alla possibilità di adottare forme di audizione caratterizzate da un grado via via crescente di protezione per il soggetto vulnerabile.